Nell’articolo precedente – “Cose che ci illudiamo portino la felicità”, ho riportato una serie di cose che pensiamo che ci rendono felici ma in realtà sembra di no (secondo diverse ricerche). Perché succede questo? La risposta viene da una serie di meccanismi della nostra mente:

1. Alcune intuizioni della nostra mente sono completamente sbagliate
Un modo facile da comprendere questa affermazione è fare appello alle illusioni ottiche:

Siamo convinti che la prima linea sia più grande di quella in basso e anche se poi le misuriamo e vediamo che sono uguali, continuiamo a vederle cosi.
[Se vi volete divertire con le illusioni ottiche vi raccomando un libro – “Illusioni ottiche. 50 modelli da costruire ed esperimenti da fare“]
2. La nostra mente non pensa in termini assoluti ma relativi a punti di riferimento
Con punti di riferimento si intendono standard salienti – anche se a volte irrilevanti – con cui vengono confrontate tutte le informazioni successive. Anche in questo caso possiamo esemplificare con un’illusione ottica – l’illusione di Ebbinghaus:

Il primo cerchio arancione lo vediamo più piccolo del secondo, quando in realtà hanno la stessa misura, ma vengono percepiti così proprio in virtù dei punti di riferimento (i cerchi più grandi nel primo caso, i cerchi più piccoli nel secondo caso). Questo succede anche nella vita di tutti i giorni. Per esempio, rispetto allo stipendio che vorremo, i nostri principali punti di riferimento sono
a) gli stipendi che abbiamo avuto o abbiamo ora (vedi esempio articolo precedente). Più il nostro stipendio aumenta, aumenta molto di più il desiderio di uno stipendio più grande. In uno studio del 1999, Van Praat e Freuters hanno trovato come ad ogni incremento dello stipendio di 1$, corrisponde un incremento di 1,4$ dello stipendio desiderato.
b) gli stipendi degli altri, ovvero il paragone sociale. Vale anche per qualsiasi altra cosa oltre lo stipendio (bellezza, capacità, possedimenti, ecc). Una ricerca di Solnick e Hemenway (1997) ha avuto dei risultati sorprendenti: gli studenti di Harvard avrebbero preferito di guadagnare 50k (quando gli altri guadagnano 25k) rispetto a 100k (quando gli altri guadagnano 250k). Spesso i punti di riferimento “negli altri” non sono neanche ragionevoli e abbiamo la tendenza a misurarci con realtà molto lontane e diverse da noi (es: con i vip per quanto riguarda il successo o l’introito, con le modelle per quanto riguarda la bellezza, ecc.).
Un punto di riferimento nuovo rispetto al passato e fuorviante per la generazione di oggi viene dai social media. Un articolo di Vogel et al (2014) ci dice che l’uso dei social media ci fa confrontare con gli altri, il che abbassa la nostra autostima.
3. La nostra mente si abitua agli stimoli/cose
Il processo chiamato adattamento edonico consiste nell’abituarsi a stimoli sia positivi che negativi, così che l’emozione che deriva da questi stimoli non rimane costante. Succede quindi quello che tanti di noi abbiamo sperimentato: una volta raggiunto un obiettivo, ci abituiamo ad esso e non è più interessante.
“Le cose meravigliose sono particolarmente meravigliose la prima volta che accadono, ma la loro meraviglia diminuisce con la ripetizione”. (Gilbert, 2007)
4. Non ci rendiamo conto che la nostra mente si abitua agli stimoli/cose
Ci capita di vivere ciò che si chiama “bias da impatto“: la tendenza a sovrastimare impatto emotivo di un evento futuro, sia in termini di intensità, sia in termini di durata. Questo bias risulta più accentuato per quanto riguarda gli eventi negativi.
Possiamo fare qualcosa per andare contro a questi meccanismi della nostra mente?
Abbiamo capito alcuni aspetti di come funziona la nostra mente, tanto da portarci spesso in errore sulla scelta delle nostre mete (e quindi anche sulle azioni e i pensieri associate), sulle predizioni del futuro. C’è qualcosa che ci può aiutare a correggere questi meccanismi automatici? Lo vedremmo nel prossimo articolo!
Bibliografia:
Clive Gifford, Rob Ives (2019), Illusioni ottiche. 50 modelli da costruire ed esperimenti da fare, Sassi, Vicenza.
Van Praag and Frijters (1999). “The measurement of welfare and well-being: the Leyden approach.“ In Daniel Kahneman, Well-Being: The foundation of hedonic psychology. New York: Russel Sage Foundation. Pages 413-433.
Solnick and Hemenway (1997). Is more always better?: A survey on positional concerns. Journal of Economic Behavior and Organization, 37, 373-383.
Vogel et al. (2014). Social comparison, social media, and self-esteem. Psychology of Popular Media Culture, 3(4), 206-222
Gilbert D. (2007). Stumbling on Happiness. New York; NY: Vintage Books.
2 pensieri su “Perché ci sbagliamo su cosa (e quanto) ci piacerà nel futuro?”