Avete mai pensato che le emozioni possono avere una loro funzione ben precisa? Io per tanto tempo ho ignorato questo aspetto, per semplice mancanza di informazione. Sono stata educata, come gran parte della mia generazione, in modo informale più che strutturato, che le emozioni sono positive e negative. In effetti, alcune emozioni sono socialmente mal viste, come la rabbia, altre sono indesiderabili, come la tristezza. Eppure nessuno, fino all’università di psicologia, mi ha mai parlato o spiegato per bene cosa fossero le emozioni, per non parlare di cosa farne. L’unica cosa da fare era al massimo inibire qualcuna o nasconderla. Studiando l’analisi transazionale ho scoperto poi che in ogni famiglia ci sono alcune emozioni che non sono gradite e che i bambini imparano, per compiacere ai genitori, a sostituirle con altre che invece sono permesse. Si creano così le cosiddette emozioni parassite, termine che rende bene la loro posizione: emozioni che si nutrono dell’energia di altre. Per esempio, se nella mia famiglia non è gradita la rabbia ma è permessa la tristezza, imparerò con il tempo che quando sono arrabbiata posso esprimerla mostrando tristezza, altrimenti sarò rimproverata o magari ignorata. Così facendo, quando cambio ambiente, nessuno mi capirà quando sono arrabbiata, forse neanche me stessa, perché oramai questo cambio registro non è nella mia consapevolezza: diventa per me, da quando ho iniziato a farlo e fino adesso, una cosa naturale e automatica, piuttosto confusa, scambiare la rabbia per la tristezza.
E perché sarebbe importante esprimere l’emozione che uno sta provando e non un’altra? Per rispondere, torniamo alla nostra domanda iniziale: a cosa servono le emozioni?
In effetti, ogni emozione ha una funzione ben precisa. Secondo Greenberg, le emozioni sono attenzionali (influenzano la salienza delle emozioni), motivazionali (condizionano la disposizione degli obiettivi) e comunicative (regolano le interrazioni con gli altri).
Secondo Daniel Goleman, autore di numerosi libri, psicologo e giornalista, le emozioni sono spinte all’azione.
“Tutte le emozioni sono, essenzialmente, impulsi ad agire; in altre parole, piani d’azione dei quali ci ha dotato l’evoluzione per gestire in tempo reale le emergenze della vita. La radice stessa della parola emozione è il verbo latino MOVEO, “muovere”, con l’aggiunta del prefisso “e-” (“movimento da”), per indicare che in ogni emozione è implicita una tendenza ad agire. Il fatto che le emozioni spingano all’azione è ovvio soprattutto se si osservano gli animali o i bambini; è solo negli adulti “civili” che troviamo tanto spesso quella che nel regno animale si può considerare una grande anomalia, ossia la separazione delle emozioni – che in origine sono impulsi ad agire – dall’ovvia reazione corrispondente.
Nel nostro repertorio, ogni emozione ha un ruolo unico, rivelato dalle sue caratteristiche biologiche distintive.
Daniel Goleman – Intelligenza emotiva
L’autore cita la teoria evoluzionistica, secondo la quale l’organismo ha perfezionato, con l’emozione, un modo per far fronte ai pericoli e quindi per sopravvivere: per esempio, se sono in pericolo di vita, l’emozione della paura, attraverso le sue componenti fisiologiche ( il sangue fluisce verso i muscoli scheletrici delle gambe ) mi predispone alla fuga oppure anche al congelamento .
Se sono attaccato e subisco un’ingiustizia, provare rabbia sarà più che funzionale, in quanto mi aiuterà a difendermi attraverso una serie di azioni. Questo, certo, nelle condizioni in cui sarò in grado di canalizzare in modo costruttivo l’energia della rabbia, in un’azione utile, invece che agire d’impulso e diventare aggressiva. In effetti, a livello sociale è l’aggressività che non viene accettata, anche perché, giustamente, non porta a soluzioni ma, tra altre cose, a nutrire conflitti. Quindi la rabbia, oltre che non sia un’emozione negativa, è fondamentale perché io possa agire per difendermi. Ma anche per fornirmi l’energia per seguire un obiettivo.
Nella gioia, uno dei maggiori cambiamenti fisiologici sta nella maggiore attività di un centro cerebrale che inibisce i sentimenti negativi e aumenta la disponibilità di energia, accanto all’inibizione di centri che generano pensieri angosciosi. Questo offre all’organismo un generale riposo e lo rende disponibile ed entusiasta verso nuovi obiettivi.
Il sollevamento delle sopracciglia nella sorpresa consente di far entrare più luce nella retina e di raccogliere così più informazioni per poter pianificare un’azione più accurata.
Quando proviamo disgusto, il gesto di alzare lateralmente il labbro superiore e di chiudere le narici serviva inizialmente ad evitare un odore nocivo o un cibo velenoso.
La tristezza, che ci toglie l’entusiasmo e ci rende meno attivi, ha la funzione di rallentarci in modo da poter elaborare una perdita. Forse nei nostri antenati serviva anche per farli stare vicino ai propri rifugi, essendo più vulnerabili e meno capaci di difendersi. A livello comunicativo, la tristezza manda un messaggio di richiesta di aiuto agli altri.
Anche per Fritz Perls, fondatore della psicologia della Gestalt, la coscienza delle emozioni è fondamentale nell’orientarsi nell’ambiente e nel raccogliere info per soddisfare i propri bisogni:
“E’ solo attraverso il riconoscimento delle vostre emozioni che potete essere coscienti, come organismi biologici, o delle cose su cui contate nell’ambiente, o di quali particolari opportunità sono presenti al momento”.
Perls, F., Hefferline, R, Goodman, P. , Gestalt Therapy
A livello comunicativo, attraverso l’emozione si manda un messaggio all’altro, il quale risponderà con una specifica azione: se mostro rabbia agirà in un modo diverso rispetto a quando mostro tristezza. Possiamo dire che l’espressione delle emozioni sono un regolatore dell’interazione sociale, e anche un primo regolatore del sé. Se io scambio la rabbia per tristezza, questo creerà nell’altro e nella nostra comunicazione una confusione enorme: io mi sentirò incompresa e la sua azione sarà incompatibile con il mio vero stato d’animo. Da qua non è difficile immaginare come possano sorgere e alimentarsi tanti conflitti.
Lorna Benjamin legge le emozioni con le lenti della teoria dell’attaccamento. Le nostre esperienze sono fondamentalmente due, quelle di sentirsi minacciati, e quella di cercare sicurezza. Le figure di riferimento devono essere capaci di farci sentire al sicuro, e soprattutto insegnarci a riconoscere la minaccia. L’ansia, rabbia e depressione, sono “affetti naturali”, che hanno una funzione adattiva: si attivano in seguito alla presenza di una minaccia, e la loro errata codifica (sviluppata all’interno di una famiglia/ambiente ostile e minaccioso), è alla base della psicopatologia.
Possiamo distinguere anche tra emozioni primarie, legate appunto biologicamente alla sopravvivenza e all’adattamento (la gioia, la tristezza, la rabbia, la sorpresa, il disgusto e la paura) ed emozioni complesse. Le prime aiutano le persone a selezionare le informazioni e a rispondere velocemente, senza elaborazioni concettuali. Da queste si sviluppano le emozioni complesse, come per esempio il risentimento, il rimorso, l’orgoglio, la gelosia, l’umiltà, includono valutazioni più cognitive e dipendono in misura maggiore della cultura di appartenenza.
L’esperienza emotiva implica l’interazione di diversi livelli di informazioni:
- livello fisiologico, emotivo e motorio (cambiamenti corporei): offre informazioni sensoriali e tendenze all’azione, fuori della volontà
- livello della memoria emotiva semantica (significato): rappresentazioni concrete di esperienze emotive precedenti, schemi che si attivano automaticamente e che influiscono sull’elaborazione delle informazioni attuali
- livello concettuale: la capacità di pensare in modo conscio e volontario circa gli eventi emotivi.
“Gli stati emotivi degli adulti sono prodotti principalmente dall’attivazione di schemi emozionali complessi […]. Le emozioni sono prodotte automaticamente dall’organismo, ma per essere vissute dalla persona devono essere verbalizzate nella coscienza. Che questi stati siano vissuti o meno dipende dal fatto che vi si presti attenzione e che vengano simbolizzati. Gli stati emotivi possono trovarsi a diversi gradi di consapevolezza: presenti ma attualmente non coscienti; presenti ma coscienti sono parzialmente o perifericamente; presenti e vissuti ma non simbolizzati verbalmente; vissuti e chiaramente verbalizzati; e infine, vissuti, simbolizzati e compresi pienamente in relazione ai fatti che li hanno indotti, ai significati e alle tendenze all’azione, ai bisogni o ai desideri associati.”
Greenberg et al, I processi del cambiamento emozionale
Bibliografia
Goleman, D. (2011), Intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano.
Greenberg L.S., Rice L.N., Elliot L. (2000), I processi del cambiamento emozionale, LAS, Roma.
Perls, F., Hefferline, R, Goodman, P. (1994), Gestalt Therapy. Excitement and Growth in the Human Personality, The Gestalt Journal Press, Gouldsboro.
Smith Benjamin L. (2004), Terapia Ricostruttiva Interpersonale. Promuovere il cambiamento in coloro che non reagiscono, LAS, Roma.
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