La fine e l’inizio – due “cose” che sembrano punti di arrivo e di partenza ben definite, con un limite apparente, così come i numeri stessi ci vogliono segnalare: 2020 sembra un’entità separata dal 2021, ma ciò che mi piace guardare quest’anno è la continuità tra di loro. Il presente che diventa passato ma anche futuro, e che non separa per niente i due: non possiamo mettere stop totale all’anno che passa e pensare di cominciare “da zero” quello che viene. In realtà è ciò che succede tutti i giorni, ma nella notte del passaggio tra gli anni lo mettiamo di più in risalto, spesso accompagnati da un pensiero magico di poter cancellare l’anno che finisce e caricare il nuovo con tutto e di più. Povero anno nuovo, se ci dobbiamo mettere nei suoi panni, avrà una terribile ansia di prestazione e si sentirà sovraccarico di tutte quelle buone e spesso idealistiche aspettative.
Certo, abbiamo a che fare con un rituale e, secondo l’analisi transazionale, il rituale è uno dei modi di strutturare il tempo in base alla nostra necessità di ricevere riconoscimenti: cioè ogni modo ha una certa qualità e quantità di scambi relazionali (si intendono scambi con l’altro da sé ma anche con l’altro sé – cioè comunicazioni tra varie parti di noi stessi).
Strutturare il tempo risponde, secondo Berne, alla fame di struttura che ognuno di noi ha, cioè all’esigenza di riempire la nostra vita con qualcosa che dia senso. I modi in cui strutturiamo il nostro tempo si situano lungo un continuum di impegno relazionale, correlato a diversi livelli di rischio psicologico (rischio di sentirsi vulnerabili): ritiro(isolamento), rituali, passatempi, attività, giochi psicologici, intimità.
Come dicevo poco prima, il capodanno (ma poi, il concetto si può generalizzare per tutte le feste), sembra essere un rituale, inteso come modo di stare insieme e avere riconoscimenti senza però coinvolgersi troppo. È infatti uno scambio programmato prevedibile di carezze (se vuoi costruire il tuo profilo delle carezze puoi vedere un mio articolo qua), sia con gli altri che con se stessi. Solitamente, in effetti, si fa qualcosa di previsto e prestabilito più o meno dalla cultura di appartenenza, e in quanto tale un qualcosa di generico e non tanto cucito a nostra misura, a meno che la tua “taglia” (i tuoi bisogni in questo momento) non coincida con questo vestito culturale. E non voglio affatto dire che sia sbagliato partecipare ad un rituale, anzi, spesso i rituali hanno tanti aspetti positivi, motivo per cui sono rimasti nella tradizione. Però sta di fatto che un certo momento temporale non può trovarci tutti nella stessa condizione e disposizione. A volte, le nostre esigenze di strutturazione del tempo potrebbero essere diverse, motivo per cui alcune persone non si trovano a loro agio in questi rituali. In base al proprio stile di porsi davanti all’ambiente, ci sono poi le persone che “si adattano” controvoglia e vivono i rituali in maniera passiva e quasi sofferente, c’è chi si ribella e fa tutt’altro che quello previsto dai rituali, solo per amor di opposizione, oppure c’è chi sta in ascolto dei propri bisogni, comprende cosa è meglio per lui in quel momento e agisce di conseguenza, vivendo quel momento come un rituale “individualizzato”, se così si può dire, che può assomigliare ad altri modi di strutturazione del tempo.
Possiamo per esempio considerare anche possibile che le feste, oltre ad essere dei rituali, possano essere momenti di ritiro per chi, costretto o per scelta, sta in solitudine. Il modo costruttivo di vivere la solitudine è quello di passare un tempo con noi stessi, in realtà o in fantasia (essere fisicamente soli oppure dando spazio ai nostri pensieri), per rilassarci e riprendere le energie, per chiedersi cosa vogliamo fare della nostra vita in questo momento , per dare a noi stessi le carezze di cui abbiamo bisogno oppure per cambiare il modo in cui ci diamo carezze (volerci bene invece che criticarci, riconoscere i propri punti di forza, ecc).
Le feste possono essere anche dei passatempi, ovvero modi abbastanza prevedibili di stare insieme ad altri e parlare del più e del meno, di argomenti di mutua accettazione, senza andare troppo sul personale e quindi senza “rischiare” troppo dal punto di vista emotivo. Può essere un modo di esplorare nuovi argomenti/persone per poi decidere se impegnarsi di più, ma anche un modo per sondare la nostra accettazione sociale.
L’attività è un altro modo di strutturazione del tempo possibile per i periodi festivi. È passare del tempo insieme ad altri per fare qualcosa, che può essere un lavoro oppure un hobby. È il caso di chi lavora durante le feste, ma anche di chi sceglie di fare qualcosa di diverso rispetto ai soliti rituali. L’attività suppone un tempo strutturato e le carezze riguardano eventuali riconoscimenti, positivi o negativi, per i risultati di ciò che si è svolto, quindi anche i rischi psicologici sono maggiori.
Un altro modo in cui si possono spendere le feste sono in forma di giochi psicologici: sono modalità relazionali ripetitive e ambigue apprese nell’infanzia per ricevere carezze che, pur non soddisfacenti, vengono percepiti come più sicure in quanto conosciute e risponde all’assunto che è meglio ricevere una carezza negativa che alcuna carezza. Nei giochi si rimane a disagio ma si ha uno scambio intenso di emozioni o carezze. È il caso, per esempio, di chi si offre ad aiutare qualcuno che si lamenta, senza che quest’ultimo volesse veramente cambiare. Alla fine dello scambio tutti e due rimangono delusi o comunque provano emozioni non piacevoli.
Il modo più profondo di strutturazione del tempo è l’intimità: un genuino scambio di carezze positive, intense e profonde, prive di qualunque svalutazione. Il livello di carezze è massimo ed il rischio psicologico è altissimo perché implica il rischio di essere vulnerabili, ma si ha la possibilità di aprirsi in maniera profonda e di porsi in modo autentico, condividendo vere emozioni. C’è chi sceglie di passare le feste in questo modo, rinunciando magari al solito rituale ma gustandosi un vissuto speciale.
Qualsiasi fosse il proprio modo di strutturare il tempo durate le feste, a mio parere è importante che risponda ai propri bisogni e che sappia anche di flessibilità.
Buon 2021!
Bibliografia:
Woollams S., Brown M. (1978). Analisi Transazionale. Psicoterapia della persona e delle relazioni. Assisi: Cittadella Editrice, 1985.
Stewart I., Joines, V. (1987). L’analisi transazionale. Guida alla psicologia dei rapporti umani. Milano: Garzanti, 2000.
Berne E. (2013). A che gioco giochiamo. Milano: Bompiani.