Questo articolo nasce durante un corso che sto seguendo online, in inglese, sulla felicità. Riporto quindi i miei appunti, con la speranza che possano essere di aiuto anche ad altre persone. Certo, il costrutto di felicità non è di facile definizione e a quanto ho visto diverse ricerche hanno preso in considerazione vari criteri (assenza di problemi di salute mentale, livello di soddisfazione nella vita, mancanza di tratti depressivi, ridere, ecc). Questo potrebbe essere un punto critico del corso. Nonostante ciò, mi sembra utile riflettere insieme su ognuno di questi aspetti, per poi, chissà, prendere decisioni diverse e più “felici” nella propria vita.
La prima cosa che mi ha colpito è la domanda da fare a noi stessi:
—>>> Cosa penso che mi renderebbe felice?
[Suggerisco di fermarti quanto basta per rispondere in modo autentico. A me ha preso un po’ di tempo: pensavo mi fosse tutto chiaro ma non era proprio così].
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La seconda cosa che mi è sembrata importante è sapere che
—>>>“soltanto sapere una cosa non è sufficiente per cambiare il tuo comportamento”. Certo che è importante sapere, ma per saper fare o per saper essere serve cambiare abitudini.
E ora ecco un elenco di mete che alcuni di noi inseguiamo con tenacia, pensando che, una volta raggiunte, saremmo felici, ma, ahimè, non è affatto così.

1. Un buon lavoro
Secondo una ricerca di Gilbert et al (1998), i partecipanti pensavano che se non avessero ottenuto un buon lavoro, la loro felicità sarebbe scesa di 2.1 punti. In realtà le misurazioni riportano solo un calo di 0.68 punti, questo nel caso di una scelta giusta del datore di lavoro. Nel caso di una scelta ingiusta, prevedevano un calo di 1.9 punti, mentre in relatà le misurazioni riportano “0” calo.
In seguito ad un sondaggio, i neolaureati, pensando a un lavoro “buono”, considerano come criteri il compenso (61%), l’equilibrio vita lavoro (58%) e l’impatto (40%). Ma quanto deve essere il compenso per fare al differenza? Sonja Lyubomirsky (2008) riporta nel suo libro “The how of happyness” come il compenso che desideriamo sia un concetto molto fluido: se si guadagna 30 000$ si desidera di guadagnare in media 50 000$. Mentre, se si guadagnano 100 000$, si pensa che guadagnare 250 000$ ci farebbe finalmente contenti. Quindi più cresce lo stipendio, più crescono le nostre mete.
2. I soldi
Neanche i soldi sembra che non hanno tutto questo impatto sulla felicità così come lo pensiamo. Una volta che sono soddisfatti i bisogni di base, il suo impatto sulla felicità è superfluo. Sembra che ci sia una soglia oltre la quale l’introito non influisce più sul benessere, ed è di 75 000$, per gli americani – secondo una ricerca di Kahneman & Deaton (2010).
3. I beni di consumo
Ci riferiamo sia a beni accessibili (un paio di scarpe), sia a beni di lusso. Nessuno delle due categorie non portano la felicità. Se pensiamo a quanti beni abbiamo oggi e a quanti mancavano nel 1940, ci sembrerebbe strano sapere che il livello di felicità nel 1940 era un po’ più grande (7.7 punti di 10) di quello di adesso (7.2 punti).
In più, pensare a beni materialistici e desiderarli ci fa stare peggio di quanto stiamo, in termini di soddisfazione della vita, secondo una ricerca di Nickerson et al (2003). I materialisti risultano anche di avere più disturbi mentali rispetto ai non materialisti.
4. Il vero amore
In una ricerca su 25000 persone durante 15 anni, Lucas et al (2003) ci rivela come il livello di soddisfazione della vita cresce nei primi 2 anni di matrimonio e poi ritorna al livello di prima, pari dei non sposati. Se poi il matrimonio non è proprio riuscito, le cose possono anche andare peggio di prima.
5. Avere un bel corpo
Per analizzare questo criterio, Jackson et al (2014) prendono in considerazione i risultati di una ricerca durata 4 anni su quasi 2000 persone, in cui sono stati seguiti pazienti obesi che hanno seguito una dieta: in quelli che hanno perso peso hanno riscontrato più tratti depressivi rispetto a quelli che non hanno perso peso o che sono rimasti uguali.
In un’altra ricerca – Von Soest et al. (2012) – riportano che gli interventi di chirurgia estetica non alleviano i problemi di salute mentale, bensì li fanno aumentare.
6. Ottenere bei voti
La ricerca di Levine et al (2012) ci suggerisce che nonostante avessimo delle aspettative di felicità proporzionali ai voti ottenuti, in realtà la votazione non cambia se non in misura insignificante il nostro livello di soddisfazione.
In conclusione…
Che cosa conta nel raggiungimento della nostra felicità? Sempre il libro citato prima di Sonja Lyubomirsky (2008) – The how of happyness– ci dice che i geni influiscono al 50%, le circostanze della vita al 10%, mentre il 40% viene influenzato dalle nostre azioni e dai nostri pensieri. Ben 40% quindi è qualcosa nel nostro controllo. Se però ci poniamo delle mete false (cioè che non ci portano il benessere), come quelle descritte prima, le nostre azioni e i nostri pensieri lavoreranno in direzioni sbagliate (seguendo queste mete derisorie) e quindi non ci porteranno al raggiungimento del benessere.
Perché ci illudiamo? Lo scopriamo nel prossimo articolo 🙂
Bibliografia
Sonja Lyubomirsky (2008) – The how of happyness. New York, NY: Penguin Books.
Gilbert et al. (1998). Immune neglect: A source of durability bias in affective forecasting. Journal of Personality and Social Psychology, 75, 617-638.
Kahneman & Deaton (2010). High income improves evaluation of life but not emotional well-being. PNAS, 107(38), 16489-16493.
Nickerson et al. (2003). Zeroing on the Dark Side of the American Dream: A Closer Look at the Negative Consequences of the Goal for Financial Success. Psychological Science, 14, 531-536.
Lucas et al. (2003). Reexamining Adaptation and the Set Point Model of Happiness: Reactions to Changes in Marital Status. Journal of Personality and Social Psychology, 84(3), 527-539.
Jackson et al. (2014). Psychological changes following weight loss in overweight and obese adults: A prospective cohort study. PLOS, 9(8): e104552.
Von Soest et al. (2012). Predictors of cosmetic surgery and its effects on psychological factors and mental health: a population-based follow-up study among Norwegian females. Psychological Medicine, 42(3), 617-626.
Levine et al. (2012). Accuracy and artifact: Reexamining the intensity bias in affective forecasting. Journal of Personality and Social Psychology, 103(4), 584-605.
Un pensiero su “Cose che ci illudiamo portino la felicità”